Introduzione

Le prime pagine italiane convergono oggi su tre grandi assi tematici: il piano di pace in 28 punti per l’Ucraina, il braccio di ferro attorno al Quirinale innescato dal “caso Garofani” e la partita industriale-sociale dell’ex Ilva. Sul fronte internazionale, Corriere della Sera, la Repubblica e La Stampa aprono sulle reazioni di Kiev e dell’Europa al documento americano-russo: Volodymyr Zelensky valuta un confronto diretto con Donald Trump, mentre Bruxelles, per voce di Kaja Kallas, chiede che Ue e Ucraina siano parti dell’intesa. In parallelo, il Manifesto e l’Unità leggono il piano come una resa mascherata, una “pessima Yalta”, mentre La Verità enfatizza la clausola del “Donbass in affitto”.

Sul terreno interno, le testate si dividono intorno al caso del consigliere del Colle: La Verità chiede dimissioni immediate, Il Riformista evoca “ombre russe” nella vicenda, Il Foglio sposta il riflettore sul travaso di consensi nel centrosinistra, mentre Secolo d’Italia celebra il no dell’Eurocamera alla missione sullo Stato di diritto come uno stop alla “Eurofiguraccia della sinistra”. In economia e lavoro, Il Secolo XIX, Avvenire e Il Messaggero raccontano il decreto per garantire la continuità degli impianti dell’ex Ilva (108 milioni), con Domani che lo legge come operazione elettorale, mentre sul fisco e la manovra spiccano l’Iva sospesa per il Terzo settore (Avvenire), la prudenza di Giorgetti (Corriere) e la proposta di riscatto degli stage (Il Messaggero, Il Mattino). Il quadro d’insieme restituisce un Paese vigile e polarizzato: europeista nelle preoccupazioni esterne, conflittuale e frammentato nelle risposte interne.

Ucraina, il piano in 28 punti e lo sguardo d’Europa

Corriere della Sera, la Repubblica e La Stampa dedicano l’apertura all’inedito schema di pace: Kiev e Ue respingono le condizioni, ma Zelensky annuncia di voler “parlare con Trump”. Il Corriere ricostruisce l’ira del presidente ucraino e i dettagli di un testo che prevede concessioni territoriali e persino il ritorno di Mosca nel G8, mentre la Repubblica titola sul “no” di Kiev e Bruxelles e sottolinea la richiesta di una “pace dignitosa”. La Stampa insiste sui “28 punti” e sulla tattica del leader ucraino, costretto a tentennare per non perdere sponde, e il Manifesto inchioda il dossier a un esito di “non-pace” che affitta il Donbass, disarma Kiev e scarica il conto sull’Europa.

Il tratto comune è la centralità offuscata dell’Europa: se per la Repubblica la Ue rivendica ruolo e metodo, per il Corriere e La Stampa pesa la distanza tra ambizioni e strumenti. Il Manifesto, quotidiano della sinistra, polarizza la cornice denunciando la divisione Trump-Putin delle “spoglie della guerra”, mentre una parte della destra, su La Verità, enfatizza dettagli negoziali come l’“affitto” del Donbass. Il Foglio liberal-conservatore Il Foglio mette a fuoco i retroscena di Witkoff e la “K” che rimanderebbe a canali russi, sottolineando “l’urgenza di un’Europa a testa alta”. Ne esce un mosaico dove il “come” conta quanto il “cosa”: per Bruxelles e Kiev il nodo non è solo contenuto, ma legittimità del processo. Una chiosa di Repubblica (“pace dignitosa”) riassume la posta, tra realismo e tenuta dei principi.

Quirinale, “caso Garofani” e lo scontro politico-mediatico

Sulle tensioni tra Colle e governo le letture divergono. La Verità conduce la carica con il titolo perentorio “Subito via l’uomo di Mattarella”, raccogliendo voci trasversali che invocano le dimissioni del consigliere, e allarga il campo accusatorio al sistema mediatico. Il Riformista ribalta il tavolo, parlando di “ombre russe” dietro la cassa di risonanza del caso e segnalando una pressione ibrida su Quirinale e governo. Il Foglio, più analitico, smonta il feticcio della parola “scossone” e spiega come l’onda d’urto stia in realtà attraversando il Pd, più che Palazzo Chigi. In controluce, Secolo d’Italia esulta per la bocciatura della missione sullo Stato di diritto all’Europarlamento come uno schiaffo alla “sinistra anti-italiana”.

Il tono riflette identità e pubblici: La Verità, quotidiano di destra sovranista, usa il “caso” per colpire Mattarella e i media critici; Il Riformista, riformista e filo-atlantico, inquadra la vicenda nel teatro più ampio delle interferenze sul dibattito italiano; Il Foglio, liberale, teme il disordine nel campo progressista e avverte che il “vero complotto” per Meloni è un’opposizione che smetta di essere un alibi; Secolo d’Italia, organico alla destra, politicizza la bocciatura della missione Ue come vittoria nazionale. L’unico virgolettato che sopravvive alla giostra è “scossone”, ormai segnaposto di una contesa che dice più della crisi di reputazione reciproca che di fatti nuovi. Il rischio, comune a tutti, è la saturazione dell’attenzione a scapito delle priorità materiali.

Ex Ilva, continuità produttiva e fratture sociali

Il Secolo XIX fa da capofila sul terreno: “Ex Ilva, primo risultato”, con lo sblocco di 108 milioni e la convocazione del tavolo a Roma, mentre registra la spaccatura sindacale tra Nord e Taranto. Avvenire, quotidiano cattolico, segnala che il decreto “dà ossigeno” agli impianti ma racconta una Puglia in rivolta, tra occupazioni e richiesta di un piano di decarbonizzazione. Il Messaggero evidenzia le misure per la continuità, con risorse per produzione e integrazioni alla Cigs, delineando l’urgenza di stabilizzare gli impianti almeno fino al nuovo assetto. Domani, da sinistra riformista, interpreta il provvedimento come “bluff” elettorale: una manciata di fondi e intese per blindare il consenso in Puglia.

Il pluralismo, qui, è geografico e sociale: Il Secolo XIX privilegia l’angolo genovese e territoriale, Avvenire richiama criteri etici e ambientali (“ossigeno”, ma non basta), Il Messaggero traduce il decreto in capitoli di spesa e ammortizzatori, domani smaschera la dimensione politica dell’operazione. Manca, quasi ovunque, una mappa chiara del post-ponte: governance, investimenti green, tempi e garanzie occupazionali. La cronaca prevale sulla visione, e la metafora della “coperta corta” torna d’attualità: tenere accesi gli altoforni oggi e progettare l’acciaio di domani. Finché la “continuità” resta l’unica parola spendibile, il conflitto tra territori e tra sigle sindacali è destinato a riemergere.

Istituzioni e fiducia: il terremoto alla Privacy

La Repubblica titola forte: “Privacy, caccia alle talpe e dimissioni”, raccontando la lettera interna con cui l’Authority chiedeva l’acquisizione dei dati di corrispondenza dei dipendenti e la conseguente uscita del segretario generale Angelo Fanizza. Il Corriere della Sera conferma il quadro, evidenziando come a lasciare non sia il collegio ma il dirigente che avrebbe promosso un’indagine interna. Il Fatto Quotidiano alza i toni (“Bel Garante della privacy”), sottolineando la contraddizione di un’autorità che finisce per voler “spiare” se stessa; L’Edicola, testata nazionale, parla di “caos” all’Authority e fotografa un clima di sfiducia.

Più che il merito tecnico, domina il segnale politico-istituzionale: sorveglianza, whistleblowing, rapporto con la stampa. Repubblica e Corriere mantengono una cornice di garantismo istituzionale, insistendo sulla discontinuità determinata dalle dimissioni; Il Fatto, coerente con la sua vocazione d’inchiesta, mette alla gogna i metodi e invoca una resa dei conti; L’Edicola amplia la risonanza nazionale del caso. Il virgolettato che resta, “caccia alla talpa”, è un ossimoro che riassume l’impasse: un’Autorità nata per custodire dati e diritti che inciampa sugli strumenti di tutela interna. Un monito, mentre la politica discute di riforme, sulla fragilità della fiducia pubblica.

Conclusioni

La giornata mediatica racconta un’Italia in cui politica estera e politica interna si specchiano. Sull’Ucraina, Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa e Il Manifesto misurano confini e strumenti dell’Europa, oscillando tra realismo e principi; sul Quirinale, La Verità, Il Riformista, Il Foglio e Secolo d’Italia mostrano ecosistemi narrativi incompatibili; sull’ex Ilva, Il Secolo XIX, Avvenire, Il Messaggero e Domani fotografano un Paese che cerca di conciliare tempo elettorale, tempo industriale e tempo sociale; sulla Privacy, Repubblica, Corriere, Il Fatto e L’Edicola ricordano che senza fiducia le istituzioni regolative si spengono. Ne emerge un clima vigile ma disallineato, con l’Europa lontana sulla pace e il lavoro vicino ma senza strategia. Il compito del giorno dopo, per la politica e per i media, è colmare le distanze: tra tavoli senza Europa e tavoli senza Taranto, tra “scossoni” e soluzioni, tra “ossigeno” e sviluppo duraturo.