Introduzione

La giornata si apre sotto il segno di Pokrovsk: la guerra in Ucraina torna al centro delle prime pagine. La Repubblica, il Corriere della Sera e La Stampa convergono sull’immagine dei reparti russi che avanzano «protetti dalla nebbia», con Volodymyr Zelensky che ammette una «situazione difficile». Il Fatto Quotidiano e Il Manifesto accentuano la dimensione di crisi, parlando di ritirata in alcuni insediamenti di Zaporizhzhia e di una battaglia capace di “rompere gli equilibri” nel Donbass. In parallelo, Il Secolo XIX e Avvenire confermano il quadro, rispettivamente con l’icona dello “sfondamento” e con l’accento sulla vulnerabilità ucraina.

Sul fronte interno, Il Messaggero e Il Gazzettino guidano la copertura economica: stretta del fisco sui dipendenti pubblici con cartelle sopra i 5mila euro e mediazione sugli affitti brevi verso il 23%. La Repubblica racconta il vertice di maggioranza e il “muro” di Giorgia Meloni sulla rottamazione, mentre il Corriere della Sera apre un caso sui fondi PNRR “indisponibili” per le imprese. A fare da controcanto, una querelle che spacca l’ecosistema mediatico: la polemica sul Garante della privacy e su Report, che domina su La Repubblica, Corriere, Il Fatto Quotidiano e Il Riformista. Infine, Avvenire e La Notizia mettono a fuoco l’emorragia di giovani dall’Italia, tema che si incrocia con la discussione sull’educazione affettiva e la prevenzione della violenza, su cui Leggo e La Verità offrono letture opposte.

Ucraina, la nebbia su Pokrovsk e la lettura dei quotidiani

La Repubblica titola sull’ingresso dei russi a Pokrovsk, sottolineando la “nebbia che acceca i droni” e il ripiegamento da cinque insediamenti a Zaporizhzhia. Il Corriere della Sera, con il racconto di Lorenzo Cremonesi, dettaglia la pressione russa tra Pokrovsk e Mirnograd e riporta il laconico giudizio di Kiev: «situazione difficile». La Stampa allarga l’inquadratura: parla di “ritirata” e di un’Ucraina “spalle al muro” senza robusto sostegno europeo, e richiama l’allarme strategico (“questo è un conflitto che nessuno può vincere”) collocando la notizia in una cornice di logoramento. Il Manifesto insiste sulla “sortita nella nebbia” e su abbandoni di villaggi nell’est di Kupiansk e nella regione di Zaporizhzhia, associandoli a un possibile cambio di equilibrio sul campo.

Le differenze rispecchiano linea editoriale e pubblici di riferimento. La Repubblica e il Corriere della Sera mantengono un registro di cronaca armata e diplomazia (con accenni ai contatti evocati da Mosca), mentre La Stampa inclina a una lettura geopolitica che mette l’accento sulla dipendenza di Kiev dall’Europa. Il Manifesto, coerente con la sua sensibilità critica della guerra, evidenzia il costo umano e l’asimmetria di forze. In controluce, Avvenire riporta l’affanno ucraino insieme a un imbarazzo per un caso di corruzione interno, indicando che la tenuta del fronte dipende anche dalla credibilità domestica. Il Fatto Quotidiano esaspera la drammaticità (“l’ora più buia”), scelta che parla a un pubblico scettico sulle promesse di una vittoria militare a breve.

Manovra, tasse e incentivi: il pendolo tra rigore e consenso

Il Messaggero mette la bandierina sulle misure più tangibili: dalla stretta sulle cartelle per i dipendenti pubblici al possibile rialzo al 23% della cedolare sugli affitti brevi, dentro un confronto serrato tra Palazzo Chigi e alleati. Il Gazzettino conferma la mediazione sull’aliquota e amplia lo sguardo alla sicurezza con il “pacchetto” della Lega (legittima difesa, sgomberi e baby gang). La Repubblica racconta il vertice in cui Meloni “fa muro” sulla rottamazione, fotografando una maggioranza in bilico tra disciplina di bilancio e appeasement con la base. Il Corriere della Sera, con l’inchiesta di Federico Fubini, apre invece il dossier degli incentivi PNRR “indisponibili”, sottolineando il caos per migliaia di imprese che avevano pianificato investimenti.

Le impostazioni rispecchiano priorità e pubblici. Il Messaggero privilegia l’angolo “servizio” per famiglie e lavoratori, tipico di un quotidiano romano attento all’impatto immediato delle norme. Il Gazzettino, “il quotidiano del NordEst”, incrocia fisco e sicurezza, parlando a un territorio che vive turismo e legalità come facce della stessa medaglia. La Repubblica insiste sul profilo politico, evidenziando frizioni nel centrodestra e il valore simbolico della rottamazione per la Lega. Il Corriere della Sera, nell’alveo liberal-moderato, problematizza la credibilità delle regole del gioco economico: l’idea che la certezza degli incentivi sia essenziale alla fiducia degli investitori. Qui manca, in più testate, un confronto comparativo europeo su affitti brevi e sanzioni fiscali, utile a orientare il lettore su costi e benefici reali delle scelte.

Privacy, giustizia e media: il caso Report accende la spaccatura

La Repubblica dà grande spazio al presidente dell’Autorità, Pasquale Stanzione: «Non mi dimetto», mentre il Pd chiede l’uscita dell’intero collegio. Il Corriere della Sera parla di “lite su Report” e registra il “no del Garante alle dimissioni”. Il Fatto Quotidiano sposta l’attenzione sui profili personali e patrimoniali del presidente (“b&b fantasma”), in un impianto critico che intreccia libertà di stampa e conflitti d’interesse percepiti. Il Riformista, attraverso un’intervista a Federico Mollicone, ribalta l’onere: anche Report “deve rispettare la privacy”, mettendo in discussione la sacralità del giornalismo d’inchiesta quando sconfina nei dati personali.

Si confrontano due narrazioni. Da un lato, La Repubblica e il Corriere della Sera inquadrano il Garante come istituzione sotto attacco politico, ma distinguono tra il diritto-dovere di controllo e il rischio di “bavaglio”. Dall’altro, Il Fatto Quotidiano insiste sulla delegittimazione dell’Authority, mentre Il Riformista (e, su binari affini, Il Giornale) contestano il primato del giornalismo quando tocca le regole. Il Dubbio aggiunge uno strato: la “separazione delle carriere” e il referendum, ricordando il tentativo della premier di depoliticizzare la consultazione. Una spaccatura che dialoga con identità editoriali: giornali liberal-progressisti sensibili alle garanzie per l’informazione, testate riformiste o garantiste attente ai confini giuridici, e quotidiani militanti che trasformano il caso in paradigma. La citazione che rimbalza, «Non ci dimettiamo», è insieme rivendicazione e detonatore.

Giovani, scuola e fughe: il Paese davanti allo specchio

Avvenire apre con “Talenti dispersi”: in vent’anni 817mila italiani stabiliti all’estero, e uscite di nuovo a livelli record. La Notizia calca la mano sul “nuovo record di giovani in fuga”, collegandolo a salari bassi e precarietà. Leggo registra un +48% di espatri in 12 mesi e riporta l’appello di Gino Cecchettin per l’educazione affettiva «già dall’infanzia». Su un altro versante, La Verità critica l’educazione affettiva alle elementari e la “retromarcia” della Lega, temendo derive ideologiche. Ne esce un mosaico in cui mobilità, scuola e sicurezza culturale si parlano senza incontrarsi davvero.

Le tonalità riflettono mondi diversi. Avvenire, quotidiano cattolico, lega l’esodo a comunità e lavoro, mostrando anche percorsi di contrasto (il progetto Policoro). La Notizia adotta un taglio polemico, imputando al governo scelte che “spingono fuori” i giovani. Leggo, testata pop, privilegia il dato e la voce simbolica di Cecchettin, ponendo la prevenzione della violenza come obiettivo educativo. La Verità, infine, intercetta i timori del suo pubblico su scuola e famiglia. Manca però, trasversalmente, una ricomposizione: come far dialogare educazione affettiva, politiche del lavoro e attrazione di talenti. È qui che la distanza fra richieste dei ragazzi e risposte delle istituzioni diventa più evidente.

Conclusione

Le prime pagine di oggi raccontano un’Italia che osserva la guerra con realismo disincantato e affronta i nodi interni oscillando tra rigore e consenso. La contesa sulla privacy diventa cartina di tornasole dell’ecosistema informativo: dove finiscono le tutele e dove iniziano i bavagli? Intanto, il paese dei “talenti dispersi” cerca una sintesi tra educazione, lavoro e diritti. Il filo che unisce tutto è la fiducia: quella che Kiev chiede all’Europa, quella che le imprese reclamano dalle regole, quella che i giovani esigono dalla politica. Oggi la stampa la misura, la divide e - a tratti - prova a ricostruirla.